Ivan Cangelosi

FORME, COLORI E CONTENUTI DEL MONDO

Painting with the colors of words

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L'opera "Rescue" entra a far parte della collezione d'arte delle Nazioni Unite a Vienna

LE OPERE DI IVAN CANGELOSI SI TROVANO PRESSO:

PALAZZO DELLE NAZIONI UNITE – VIENNA

MUSEO DELLA SCRITTURA E DEL SEGNO – Strada da Bertolla all’Abbadia di Stura, 200, 10156 – Torino

MUSEO DEL PALERMO FOOTBALL CLUB – presso Stadio Comunale “Renzo Barbera”. Viale del Fante 11, 90146 Palermo

GALERIE IMMOBILIEN – Landstraßer Haupstraße 74, 1030 – Vienna. 

ATELIER – Heiligenstädter Straße 5/10 – 1190 Vienna

E’ ancestrale la parentela fra l’arte e la scrittura, intesa come materialità dello scrivere prima ancora che come suo contenuto, tanto più nella sua modalità ritenuta tradizionalmente la più nobile, la letteratura […] Dopo Cy Twombly, per il quale la scrittura manuale, spesso asemantica (priva, cioè, di significati verbali), diventa motivo di specifica riflessione informale, Joseph Kosuth spinge il suo Concettualismo a oltrepassare le colonne d’Ercole dell’arte, cercando nella scrittura la negazione di ogni sua velleità estetica. Come si pone, rispetto a questi precedenti ineludibili, l’arte “neo-amanuensista” di Ivan Cangelosi, strabiliante nel congegnare immagini perfettamente figurate attraverso la trascrizione manuale di interi capolavori della letteratura, così come capiterebbe in un arazzo? In modo non solo manualmente, ma anche intellettualmente sottile: la scrittura non può essere solo forma, come vorrebbe Twombly, né solo contenuto, come vorrebbe Kosuth, perché possiede una forma, e ogni forma, ci ha dimostrato proprio l’Avanguardia, è estetizzabile. La conciliazione che Cangelosi propone, allora, sottopone le prerogative della testualità letteraria al rispetto di altre testualità con cui convivere, quelle artistiche della figurazione, a sua volta orientate secondo altri testi mentali, altre finalità simboliche da soddisfare. L’opera di Ivan Cangelosi è dunque innovativa, essenziale nel suo linguaggio complesso. Egli appare capace di cogliere l’essenza più profonda che si cela dietro un pensiero […]. Un’operazione di grande abilità linguistica, per di più aperta a infiniti sviluppi.

Vittorio Sgarbi

La scrittura a mano tra medium artistico e percezione del tempo di Ivan Cangelosi

(Deutsche Version)

Quando si scrive a mano, ciò che resta sul foglio non è semplicemente un segno grafico, ma una traccia di noi stessi. La scrittura a mano, infatti, dice molto di noi, fornisce indizi immediati sulla nostra personalità e sul nostro stato d’animo. Inoltre, essa è di per sé un gesto “artistico”, in quanto da vita ad una concatenazione di grafemi disposta secondo un proprio stile.

Fare arte con le parole è qualcosa che affonda le radici nella storia dell’arte. I miniaturisti e gli amanuensi nel medioevo, ad esempio, sapevano bene che le parole, essendo immagini, erano fatte anche per essere viste, un concetto ripreso dalle avanguardie artistiche del secondo novecento, periodo in cui si avviò un dibattito sul potere visivo ed espressivo del linguaggio come nuovo medium del fare artistico.

Scrivere a mano, è noto, rappresenta una forma di autoeducazione del pensiero, lascia spazio all’immaginazione, all’apprendimento, alla riflessione. E lascia spazio anche al proprio tempo.

Il tempo è forse l’unica cosa che davvero possediamo perchè è l’impalpabile sostanza di cui siamo fatti. Il nostro corpo è temporale: esso ci mostra, cambiando ed invecchiando, il tempo che passa, così come “fatta di tempo” è la nostra mente che, attraverso la memoria, ci ricorda chi siamo e chi siamo stati. Provate ad immaginare di perdere del tutto la memoria: capirete che, insieme alla memoria e al tempo racchiuso in essa, perdereste voi stessi. Noi ed il nostro tempo siamo allora la stessa cosa e, quando diciamo “occupo il mio tempo…”  bisognerebbe forse riflettere sul fatto che è l’esatto contrario, e cioè che è il tempo ad occupare noi. Sprecare il proprio tempo, quindi, significa in fondo sprecare se stessi. Significa perdersi e buttarsi via.

Fare arte attraverso il medium della scrittura a mano ha quindi un significato che va oltre il processo creativo tout court; scrivendo, è come se accompagnassi  graficamente lo scorrere del tempo verso la sua magica raffigurazione in una sorta di “Tempogramma”, un tracciato in cui la punta della penna, fissando sulla carta il minuto saliscendi geometrico della scrittura, ne rileva idealmente il fluire. E’ anche grazie a questo gesto che io riesco a godere appieno del mio tempo, a sentirlo scorrere dentro di me, ad ascoltare il suo fluire scandito dai battiti del cuore. Un gesto, quello dello scrivere a mano, che nella composizione delle mie opere fa propri i principi dello scorrere lineare del tempo, in particolare l’impossibilità di tornare indietro e modificare quanto già accaduto. La modalità di esecuzione dell’opera, infatti, non lascia spazio a ripensamenti o ritocchi di ciò che è stato scritto, ovvero dipinto. Un “refuso”, che nel mio caso può essere non soltanto di natura semantica ma soprattutto “cromatica”, rimarrebbe tale, proprio perchè la particolare struttura dell’opera non permette una “riscrittura”, e quindi una ricolorazione di quanto già segnato sulla carta.

Considero “il tempo”, quindi, la materia principale di cui sono fatte le mie opere. Un tempo che si materializza, si rende visibile, attraverso il lavoro accurato che conduce alla realizzazione dell’opera d’arte. Si tratta di una consapevolezza che trova conferma nella particolare curiosità del fruitore dell’opera, il quale sempre si interroga (e mi interroga) sulla quantità di tempo impiegato per realizzare un quadro.

Anche per chi osserva l’opera, quindi, sembra essere il “tempo” il fattore immediatamente percepito, un qualcosa di impalpabile, etereo, eppur in qualche modo presente, che assurge a vera sostanza dell’opera.