LA PETIZIONE CONTRO VAN GOGH
© Ivan Cangelosi, 2021
106X85 cm
Inchiostro su carta
Scrittura a mano della corrispondenza tra Vincent e Theo Van Gogh (periodo di Arles) – Lingua francese
Il nome di Vincent Van Gogh (Zundert, Paesi Bassi, 30 marzo 1853 – Auvers sur Oise, Francia, 29 luglio 1889) è probabilmente quello che, più di altri, viene associato all’arte. La sua carriera di pittore, iniziata da autodidatta ad un’età non più giovanissima (aveva 27 anni), durò soltanto 10 anni, duranti i quali produsse circa 900 dipinti e più di mille disegni (in pratica la media di un’opera ogni 2 giorni), finendo nel luglio del 1889, giorno in cui morì a seguito della ferita riportata per un colpo di arma da fuoco, probabilmente auto-inflitto.
Le opere più famose di Van Gogh, quelle per intenderci caratterizzate dall’esaltazione dei colori e della loro applicazione abbondante sulla tela, risalgono quasi tutte al periodo francese della sua attività (1886/87-1890) ed in particolare al periodo in cui visse ad Arles e a Saint-Rémy-de-Provence (dove venne ricoverato in un ospedale psichiatrico) dal 1888 al maggio 1890.
Ad Arles, sin dall’inizio Vincent Van Gogh non ebbe una vita semplice, e ciò non solo per gli annosi problemi economici (Van Gogh, non avendo venduto in vita che un solo quadro, fu finanziato per tutta la sua vita artistica dal fratello Theo, facoltoso mercante d’arte che viveva a Parigi, il quale più volte al mese gli spedì denaro contante, colori e tele per dipingere) ma anche per un istintivo ostracismo ed una inimicizia mostrata dagli Arlesiani nei suoi confronti, così come affermato dallo stesso Vincent in una delle innumerevoli lettere inviate al fratello. Alla diffidenza della maggior parte degli abitanti di Arles, si univa il profondo senso di solitudine provato a causa del perdurante isolamento e della mancanza di normali relazioni sociali. Al fine di alleviare nel fratello la sofferenza della solitudine, Theo van Gogh fece in modo di convincere Paul Gauguin, che a sua volta versava in grosse difficoltà economiche, a raggiungere il fratello Vincent ad Arles, una soluzione che avrebbe consentito, da una parte, a Vincent di godere della compagnia del suo amico (e ammirato) amico artista e, dall’altra parte, a Paul Gauguin di ricevere del denaro da Theo Van Gogh che, acquistando alcuni quadri di Gauguin, in cambio del suo viaggio ad Arles, aveva in qualche modo alleviato le difficoltà finanziarie di Paul Gauguin.
Purtroppo, la convivenza tra i due artisti, caratterialmente tra loro molto diversi, si rivelò presto complicata. I due pittori cominciarono presto ad avere divergenze d’opinione su tanti temi e gli alterchi si svolgevano spesso in modo aspro e, verso la fine della loro convivenza, anche violento.
Successe così che la sera del 23 dicembre 1888, Van Gogh, dopo l’ennesima, accesa discussione con Paul Gauguin, ebbe un grave esaurimento nervoso, a seguito del quale si mutilò l’orecchio sinistro. L’episodio ebbe sviluppi ancora più gravi per il fatto che Vincent, tagliato di netto il proprio orecchio con un rasoio, lo depose dentro un involucro di carta per recarsi poi al bordello che stava non lontano da casa sua, e consegnarlo ad una prostituta (certa Rachel) dicendole di conservare gelosamente quell’oggetto come qualcosa di prezioso.
Tornato a casa (la famosa “Casa gialla” dipinta da Vincent Van Gogh in un suo quadro), venne rinvenuto il giorno dopo quasi esanime dalla polizia e portato all’ospedale.
Durante la sua degenza, Vincent Van Gogh venne a sapere che un certo numero di cittadini di Arles si erano uniti per sottoscrivere una petizione contro di lui da inviare al sindaco, al fine di internarlo. Così scrisse Vincent, in una lettera inviata al fratello, il 19 marzo del 1889:
“Mio caro fratello,
mi è sembrato di vedere così tanta angoscia fraterna contenuta nella tua (ultima) gentile lettera che mi sembra sia mio dovere rompere il silenzio. Ti scrivo in pieno possesso della mia presenza di spirito; non come un pazzo ma come il fratello che tu conosci. Ecco la verità: un certo numero di persone di qui ha inviato una petizione (c’erano più di 80 firme) al sindaco (credo che si chiami M. Tardieu) additadomi come un uomo non degno di vivere in libertà o qualcosa del genere. Il capo della polizia o l’ispettore capo hanno quindi dato l’ordine di farmi rinchiudere ancora una volta. E dunque eccomi qui, rinchiuso per lunghi giorni sotto chiave, e sotto la sorveglianza di secondini, nella cella di isolamento, senza che la mia colpevolezza sia provata o addirittura provabile. Inutile dire che in cuor mio ho molto da ridire su tutto ciò. Ed è inutile dire che arrabbiarmi o chiedere scusa avrebbe l’effetto di accusarmi di ciò che mi si rimprovera. (…). Ti dico soltanto che ora avresti difficoltà a liberarmi. Se non avessi frenato la mia indignazione sarei stato immediatamente giudicato un pazzo pericoloso. Se tra un mese, però, non hai notizie dirette di me, allora agisci, ma finché ti scrivo, aspetta. (…)
Puoi immaginare quanto sia stato per me un colpo al cuore scoprire di così tante persone che erano state così codarde da unirsi contro un uomo, e per giunta malato. (…)
Come stanno mamma e nostra sorella? Non avendo nient’altro che mi distragga – mi è persino vietato di fumare – cosa che però agli altri pazienti detenuti è concessa – penso giorno e notte a tutti quelli che conosco.
Non ti nascondo che avrei preferito morire piuttosto che causare e sopportare così tanti problemi. Cosa vuoi, soffrire senza lamentarti è l’unica lezione che deve essere appresa in questa vita. (…)
Come vorrei poterti inviare le mie tele ma… tutto è sotto chiave, polizia e custodi…
Io stesso temo che se fossi in libertà non sarei sempre padrone di me stesso, se fossi provocato o insultato, e di questo potrebbero approfittarsene. Resta il fatto che al sindaco è stata inviata una petizione. Ho anche risposto senza mezzi termini che sarei disposto a buttarmi in acqua, per esempio, se questo potesse rendere felici questi virtuosi (sottoscriventi la petizione) una volta per tutte…E che, in ogni caso, se è vero che ho provocato ferite a me stesso, non ho fatto nulla di male agli altri.
Ed io che ho davvero fatto del mio meglio per essere amico di questa gente… E’ stato un duro colpo per me.
Di darò ulteriori notizie presto, spero, mio caro fratello. E non preoccuparti. Forse è una specie di quarantena che sto passando. Che so…”